Investire, risparmiare, pagare sono azioni semplici ed indispensabili, che occupano il 70% della quotidianità di tutte le persone. L’indipendenza economica, soprattutto quella di genere, necessariamente si deve confrontare con il rapporto con il denaro, la moneta corrente ma anche l’operatività virtuale e la gestione di un conto corrente.
Molti istituti di credito, soprattutto quelli legati da sempre al territorio, come le banche popolari o quelle di credito cooperativo, che caratterizzano la loro azione in aiuti e sostegno economico per il benessere della comunità in termini di solidarietà, hanno adottato norme di comportamento e codici etici per andare incontro ad una clientela sempre più vasta ma anche, soprattutto dopo il periodo pandemico, anche più problematica.
Queste banche per aiutare la crescita dei territori in cui operano hanno sposato in pieno la politica del microcredito, utilizzando la garanzia dello Stato hanno dato contributi economici a coloro che avevano dei validi progetti che grazie alla sinergia banca/tutor oggi sono diventate delle attività economiche. Lo strumento microcredito, si è rivelato un buon prodotto “bancario” soprattutto perchè ha intercettato una clientela diversa, che mai avrebbe potuto senza tutoraggio, approcciare ad un rapporto sano con l’attività imprenditoriale.
Grazie ai tutor si passa dall’idea all’azienda, attraverso la conoscenza diretta, la mediazione interpersonale, l’educazione finanziaria. In questo virtuoso circuito in cui la dimensione umana recupera valore e genera economia sicuramente la figura del tutor che si interfaccia con banche e aziende resta imprescindibile, soprattutto quando sono funzionali alla semplificazione della richiesta di documentazione.
Questi risultati ottenuti, devono essere uno stimolo alla produttività nella ferma convinzione che ci sono attività che restano esclusive della sfera relazionale diretta e personale come nel caso del recupero dei non bancabili attraverso il microcredito
Fabio D’Amora