L’epoca che stiamo vivendo, oltre ad offrire una visione sempre più sfocata ed indistinta del lavoro, delle sue forme e categorie giuridiche, ripropone una diversificazione, già da tempo avvertita, tra i bisogni sociali di chi, vivendo nel “regno della necessità”, svolge un’attività a favore di altri e il mondo della regolazione, il cui baricentro rimane centrato sulla fattispecie di subordinazione quale forma egemonica di attività lavorativa.
In pochi anni siamo passati da una società in cui il lavoro era il centro dei diritti dell’uomo ad un tempo caratterizzato dal lavoro “povero”, in cui il compenso di chi lavora, spesso anche tanto, non è sufficiente neanche a sostenere i costi della vita quotidiana. Un tempo in cui i lavoratori autonomi, sono diventati la categoria più debole e precaria, anche a fronte di esperienze professionali appaganti.
I giovani non hanno più quelle garanzie che hanno avuto i loro genitori, non hanno quelle sicurezze economiche e previdenziali necessarie a metter su famiglia e acquistare casa. Dobbiamo pensare che le professioni saranno sempre più variabili e mutevoli: il momento è di grande transizione e i profondi cambiamenti nel mondo del lavoro richiedono che istituzioni, scuole e imprese siano legati da un costante flusso di scambio.
Da questo quadro emerge chiara una delle criticità più grandi e per il momento insormontabili del mercato del lavoro italiano: la mancanza di competenze specifiche che genera mismatch e il debole rapporto tra università e imprese per l’inserimento dei giovani.
Fabio D’Amora